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lunedì 7 luglio 2014

Servimi il cielo riapre!

Dopo aver attraversato il mondo a piedi per scoprire i segreti più reconditi degli eremiti più incalliti, la vostra affezionatissima scribacchina è tornata alla civiltà... e a blogspot. Ho raccolto un po' di cose da raccontare, compresa la mia prima bellissima *sarcasmo* esperienza con l'invio di un romanzo alle case editrici. E compreso il fatto che da un gatto sono arrivata a possederne sette (di cui due affidati ad altre famiglie... ma comunque ne restano cinque!)
Il mondo "scrittevole" mi ha gettato giù dalla finestra del primo piano, ma io ho atteso che le mie fratture si ricomponessero e ora sono tornata in pista (Corri, Forrest, corri!) più agguerrita di prima. Arriveranno nuovi contenuti, sfide, racconti, progetti, personaggi, invettive, recensioni. Sono pronta? Non lo so. Ma non costa nulla prova a rimettersi in gioco, no? 


Io al ritorno dall'eremitaggio

mercoledì 26 marzo 2014

Chiuso per ferie?

Ci sono giorni come questo in cui mi chiedo se ne valga davvero la pena investire su un sogno irrealizzabile. Io ho campato tutta la mia vita sui sogni irrealizzabili. L'essermi iscritta ad archeologia ne è una prova.
Eppure ci sono giorni in cui perdo ogni speranza. 
Ho sempre pensato di essere diciamo portata a fare la cantastorie, di avere una sorta di inclinazione di base, per chi crede a queste cose. La prima cosa che ho imparato a fare dopo a scrivere è stato scrivere storie e non conto palle quando dico che la prima l'ho inventata in terza elementare. Da allora non ho mai smesso di coltivare questa inclinazione, ho continuato a leggere (perché il modo migliore per imparare è osservare) e ho continuato a studiare. Prima la grammatica (sembra una cazzata, ma per molte persone non è così ovvio) e poi via via le regole della scrittura creativa. Quando ha preso piede internet, ho conosciuto altre persone che condividevano la mia stessa inclinazione, chi avendo l'umiltà tale da permettermi di avere uno scambio reciproco, chi con un ego smisurato tale da trattarmi come una bambina solo per la pubblicazione di un libro. Nel bene o nel male, comunque, questo confronto mi ha permesso di crescere, di imparare, di conoscere, di migliorare in modo netto e sostanziale.
Ma se questi altri hanno cominciato a pubblicare e a farsi conoscere, io sono rimasta con i piedi incollati a terra.
Questo è uno dei giorni in cui comincio a chiedermi se ho davvero quella inclinazione. Vale davvero la pena che io mi dedichi a questa passione, a saturare il mercato con le mie cazzate?
Evidentemente qualcun'altro ha deciso per me. 
Perciò ho deciso di prendermi una pausa per riflettere. Potrebbe durare un giorno, una settimana, un mese, un anno, una vita intera. Certo è che non smetterò di scrivere e coltivare la mia passione, ma diventare scrittrice per me è un sogno irrealizzabile. Non sono abbastanza capace e probabilmente non lo sarò mai. 
Per un po' questo blog sarà riservato alle sole recensioni dei libri (di quelli che decido io, quindi nessuna richiesta di recensioni. Sorry, ma per questo periodo va così.) e alle opinioni scrittevoli. 



giovedì 20 marzo 2014

Opinioni scrittevoli - dieci modi per creare un antagonista fantasy (parte prima)

No al colesterolo, sì ai kattivi!

È giunto il momento di riprendere in mano la campagna di salvaguardia dei Kattivi nei romanzi fantasy. Di opinioni scrittevoli il web è pieno, quindi non vedo perché non dovrei aggiungere il mio. 

I coniglietti già si preparano a piangere. Kattivi!

Perché di preciso nei fantasy? In realtà volevo fare un articolo generico, ma proprio in questi giorni mi è capitato sottomano un fantasy il cui kattivo si chiama Lord Tenebra. Invece di far piangere i coniglietti, ha fatto piangere me. Io ci sto mettendo cuore e anima nella lotta alle stronzate, per difendere la dignità del genere fantastico, e mi tirate fuori queste amenità?
No. No no e poi no.
Quindi, dato che i decaloghi vanno di moda, beccatevene uno.


10 MODI IN CUI CREARE UN ANTAGONISTA FANTASY 
(E ALTRETTANTE COSE DA EVITARE NEL FARLO)

Avvertenze: qualcuno dei novelli Tolkien potrebbe sentirsi offeso.


1. NON DATE NOMI LEGATI ALL'OSCURITA' O AL MALE,NOMI IMPRONUNCIABILI E/O RIDICOLI

Dai, lo sappiamo che l'oscuro signore è Sauron. O Voldemort. Ora basta. Be original, please!
Il nome è qualcosa di incredibilmente importante per un personaggio e questo vale per tutti gli allineamenti, per tutte le professioni, per tutti i ruoli all'interno di una storia. Quindi, per forza, anche per i kattivi. È fondamentale, quindi, evitare le amenità come "Lord Tenebra" Mr. Oscurità, Signoreoscuro1992. Quelli sono utili solo se il vostro kattivo ha intenzione di adescare minorenni su myspace. Evitate anche i nomi che richiamano al villaggio dei Galli di Asterix (tipo, Galbatorix. Che io pronuncio sempre Galbatorìx); sappiamo tutti che la saga di Paolini è affondata anche per questo, suvvia.
L'antagonista è importante. Il suo ruolo, in quanto opposto al protagonista, è fondamentale. Per favore, dategli un po' di dignità, se la merita!

Consiglio spassionato: evitate nomi italiani e/o inglesi all'interno di un fantasy. Avete rotto, è un fantasy, i nomi di questo mondo non si dovrebbero applicare. Io sono arrivata a creare una nuova lingua pur di dare un senso ai nomi che volevo dare: e infatti sono nomi pronunciabili e armoniosi, non nati da una testata alla tastiera. Vi prego. Evitate asihno o ALSDHYTDF o aosdufstaasbd. asdiaggyuasdvpjdfioh. pasd.
Pasd è carino, dai, ma anche no. 

2. IMMENSI POTERI COSMICI.... IN UN MINUSCOLO SPAZIO VITALE!

Mai mai mai e poi mai capirò gli antagonisti maghi che hanno abbastanza potere per prendere il trono, ma non per tenerselo. Evitate di conferire ai vostri antagonisti, o villain , dei poteri incredibili per poi farli perdere in modo misero o stupido o dal primo che passa (o dal primo incaricato da una profezia. Chi ha orecchie per intendere, intenda). Volete che uno dotato di poteri immensi non possa proprio far niente? Allora che gli date i poteri immensi a fare?

Consiglio spassionato: se proprio dovete mettere delle persone dotate di magia, non date loro delle regole stupide o prive di senso. Pensate bene ai suoi meccanismi. E se non ha limitazioni, allora non datele. Eh, è più difficile fare una trama con un antagonista dai poteri illimitati, vero? Ma se riuscite a farlo, verrà apprezzato di più.

3. BIANCO O NERO? GRIGIO!

Non sto parlando del colore della pelle, sto parlando della personalità degli antagonisti. Hanno rotto gli antagonisti tutti kattivi che fanno solo piangere i coniglietti (e i lettori intelligenti). È davvero così difficile fare dei buoni personaggi dando loro delle sfumature? D'accordo, è praticamente impossibile dare le sfumature a tutti i personaggi secondari o alle comparse, ma qui stiamo parlando dei personaggi principali. Gli stereotipi appartengono alle storie alla Everyman (ma erano delle storie la cui funzione, nel medioevo, era fare la morale) o alle storie umoristiche che non richiedono un approfondimento psicologico. Ma se vuoi non state facendo un fantasy umoristico, dovete tener conto anche di questo: i villain, gli antagonisti sono esseri umani. 
Hannibal Lecter sarà un cattivo/cannibale/assassino, ma è una persona raffinata che ama la musica classica e il buon cibo (sorvoliamo sul fatto che è carne umana, eh.) Insomma non vive nello sfacelo solo perché è cattivo. Certo, molti villain sono spinti dall'odio, ma non è detto che non ci sia amore: chi vi dice che il vostro antagonista non ami? Magari è proprio il suo punto debole, l'amore per una donna (o un uomo). O ha dei figli che adora. O che ne sono, lì sta a voi decidere come mettere delle sfumature nel personaggio.
Ma vi prego, mettetele.

4. BRUTTO & CATTIVO! (opposto allo Kalòs kai Agathòs)

Dai, descrivere il kattivo anche come brutto  era una strategia nata nel periodo medievale (ma anche più anticamente) per far capire alla gente analfabeta e illetterata che quel personaggio era pure cattivo, dalle raffigurazioni sulle facciate esterne e sulle pareti interne delle Chiese. Se la gente non sa leggere come racconti? A immagini, ovviamente.
Tuttavia, negli ultimi tempi il tasso di alfabetizzazione è notevolmente aumentato. Quindi, suvvia, evitate di ricorrere a questo stratagemma nei vostri fantasy. I vostri villain, come non devono essere necessariamente 100%KATTIVI(c), non devono essere necessariamente brutti. BRUTTO = CATTIVO denota solo la vostra incapacità narrativa. A meno che non abbiate dei molto validi motivi per fare questa associazione (ma fidatevi, 9/10 non ce l'avete) evitate. 

Consigli: evitate gli occhi magnetici. Odio la definizione di "occhi magnetici" su ogni personaggio, men che meno sui kattivi. 

5. VOGLIO IL POTERE! (perché? Perché sì)

Immaginatevi di interrogare il vostro villain.

"Perché sei villain?"
"Perché voglio il potere!!!!!11111!!!"
"Perché?"
"Come perché? Perché sì!"

Se il dialogo è stato questo, avete ancora molto da lavorare. 
Questo introduce l'ostico argomento della psicologia dei personaggi. Certo, tutti noi nasciamo con delle certe inclinazioni, ma queste vengono alimentate dall'educazione che si riceve o dalle esperienze che si fanno. In parole povere, il vostro villain deve avere un valido motivo per essere villain. Sia per il fatto di essere villain, sia per le azioni che lo muovono. Se il vostro villain ce l'ha con il protagonista perché sì, allora state facendo un pessimo lavoro (a meno che l'antagonista non sia un pazzo furioso, ma allora lì è tutto un altro mondo. È più probabile che lo sia l'autore, comunque.)
Create il passato del vostro villain. Non è necessario mostrarlo buttando addosso una marea di infodump al lettore, ma per voi è fondamentale per delineare il carattere del villain. In realtà, questo discorso vale per ogni personaggio. Ad esempio, il protagonista ha ucciso il suo grande amore? Suo fratello? Sua nonna? Il suo gatto? Magari l'ha fatto per sbaglio, certo, ma si sa che la vendetta acceca. Certo, non si può farla così semplice, dovete dargli comunque uno spessore maggiore, ma è già un passo in avanti per evitare di avere un foglio di carta al posto di un personaggio.


Al più presto arriverà la seconda parte del decalogo! Stay tuned e ricordate: No al colesterolo, si agli antagonisti ben caratterizzati!





domenica 2 marzo 2014

Opinioni scrittevoli - sul fantastico in Italia

Scrivo questo articolo di getto, anche per mantenere vivo questo piccolo angolo di web - che dal 30 dicembre non ha visto l'ombra di un post. Premetto che sono pesantemente raffreddata e il mal di testa non mi dà tregua, quindi chiedo venia per tutte le frasi nonsense e gli eventuali errori grammatical-ortografici che troverete in questo post.
Premessa a parte, volevo prendere spunto da una mia personale esperienza per fare una assai poco professionale considerazione sul genere fantastico qui in Italia. Sì, perché è opinione comune nell'italiano medio, come pure nei colleghi scribacchini/scrittori, che il genere fantastico sia una merda.
Proprio così, è inutile che ci giriamo attorno o che usiamo eufemismi inutili. Qui si pensa che il genere fantastico sia un genere alla portata di tutti, che chiunque possa scrivere un romanzo fantasy o fantascientifico, per non parlare di tutti i sottogeneri. Prova ne è che molti si prendono un annetto per scrivere un romanzetto fantasy da quattro soldi, con un pizzico di mezzelfi assassini che mai guastano, magari che portano nomi che sono nomi comuni scritti al contrario ( e infatti d'ora in poi l'elfo Oiram diventerà il santo patrono delle cazzate), e con un'autopubblicazione su amazon dichiarino di essere i novelli Tolkien o Martin.
Ormai vige il motto "Tanto è fantasy" e di cavolate illeggibili e malpensate ne è pieno il web.
Ma davvero basta a considerare il genere fantastico una merda?
La domanda è retorica, ma comunque meglio esplicitare la risposta: No. Non è giustificabile il quantitativo mostruoso di pregiudizi contro i romanzi che appartengono a questa branchia. Ogni volta che mi dicono che è tutta esagerazione, li invito cordialmente a leggere i commenti nella pagina di Masterpiece, l'infame - a mio parere- talent show sugli scrittori (in cui veniamo dipinti come degli esseri mitologici pieni di qualsivoglia fobia, soprattutto quella sociale, che vivono completamente distaccati dalla realtà. Dei casi umani, insomma.)
Anyway, per tornare in tema, c'era una sfilza tremenda di commenti su come "dai, ma il fantastico? Non è un genere impegnato! Tutti possono scrivere una storia fantastica".
Un mio compaesano era arrivato addirittura a dirmi: "Il fantastico? Pff facile scrivere fantastico quando puoi inventare! più difficile è scrivere di temi politici. QUESTA è vera narrativa!" Per poi essere scartato da millemila case editrici.
No, no, no e poi no. Mi oppongo. Il fantastico è un genere che ha la sua dignità e ha i suoi rappresentanti illustri. Se voi non li conoscete, sono affari vostri. Ma evitate di giudicare nella vostra ignoranza.
Che un sacco di pseudo-scribacchini decidano che è il loro romanzo d'esordio, presentando manoscritti senza arte né parte, beh è vero. Ma non vuol dire che il fantastico italiano sia da buttare. Non vuol dire che non ci siano scrittori che ci si dedicano sul serio o che vogliano dedicarvici. Tutti i generi sono saturi da manoscritti che chiunque, con un minimo senso critico, avrebbe scritto meglio alle elementari. Se proprio volete puntare il dito contro un sottogenere che manco nelle sue espressioni più alte ha un senso, beh, puntatelo contro il paranormal romance. (che paradossalmente è uno dei generi che tira di più. Vai a capire.)
Il problema è che possiamo girarla quanto vogliamo e dire che il genere fantastico ha la sua dignità, ma sulla mia esperienza personale ho scoperto che le case editrici hanno chiuso le porte agli autori che si affacciano su questo genere. Io, ammetto, di voler restare grossomodo nell'ambito del fantastico, perché è il genere che sento che più mi appartiene. Il problema è che, dopo aver dedicato anni al worldbuilding, alla cura dei personaggi e delle ambientazioni del mio manoscritto fantasy, mi sono vista puntualmente le porte chiuse. Nessuno vuole più il fantastico. Nessuno.
A chi mi dice che "Il mercato è saturo, non vende più il genere fantastico", ribatto: il mercato è saturo per tutti i generi, saturo di libri scritti male e poco originali. Perché basta tradurre e sfondare all'estero? All'estero il fantastico è molto apprezzato, in ogni forma d'arte. I telefilm più famosi di sempre sono di genere fantascientifico e fantasy.
Dunque sto dicendo che il problema è in Italia? Sì.
Qui si dice che "il fantastico è un genere stupido per lettori stupidi" o, peggio, per bambini. 
E io di solito, di fronte a questo, posso solo che alzare le mani in segno di resa e dare dell'idiota al mio interlocutore.

lunedì 30 dicembre 2013

Naltatis - L'Appeso


PREMESSA 

Trecento anni dopo le vicende della serie principale (il cui primo volume è Naltatis - Il Sentiero degli Dei), Naltatis è una Repubblica che ha esteso i propri confini al di là del mare. Ma l'ombra del culto del Kaenanhsi non si è ancora sopita, e una guerra nascosta imperversa sotto la patina di democrazia e serenità della repubblica, fra chi vorrebbe che la libertà conquistata con il sangue degli eroi perdurasse e chi vorrebbe invece tradire la loro memoria fondando un impero. Coinvolta a suo malgrado, Esmèl si vede perseguitare da un incubo. Una bambina, salvata più di vent'anni prima: l'ultima discendente in linea diretta dei grandi sovrani della Seconda Era, l'unico strumento per legittimare la fondazione di un Impero.

La storia della ciurma della Jèreor era nata come possibile ambientazione per un gioco di ruolo, basato sugli scenari già visti nella serie principale di Naltatis e anche nel racconto "Il Marchio": trecento anni dopo, i commerci dell'Atis Ekoar (l'Isola Immortale) si sono ampliati in territori sconosciuti e Naltatis è tornata a essere una potenza dominante. Sotto la Repubblica sono riuniti diversi popoli e diverse terre, e la varietà di ambientazioni si prestava appunto a qualcosa di più di un libro.
Questo è il primo racconto ambientato nella Terza Era, (mentre Il Marchio - edito da GDS - è ambientato nella Prima Era e la serie principale nella Seconda Era), e lo trovate scaricabile qui.



PICCOLO VOCABOLARIO
Diversi termini sono utilizzati nel racconto e fanno parte del linguaggio enkoariano, parlato appunto nell'Isola Immortale.

"Derkai honai ferrèa" - letteralmente, "bastardo figlio di puttana".
Maysa - termine per "madre".
Namesh - Vino caldo, speziato e addolcito con miele. 
Nil-Tayr - Pianta sacra utilizzata in tutti i rituali, di solito bruciata. Le bacche, piccole e nere, sono considerate allucinogene e vi si può ricavare del veleno.




mercoledì 23 ottobre 2013

Hannibal di Bryan Fuller



"Questo è il mio disegno."

Di Bryan Fuller avevo già parlato in merito di Pushing Daisies. 
Probabilmente a fare le recensioni dei suoi telefilm sono di parte, perché adoro le sue idee e il suo modo di svilupparle. Non c'è stata una sua serie che non sia stata apprezzata dalla critica, ma ahimè il pubblico e l'alto budget delle sue idee - sempre al limite dell'allucinogeno - gli hanno sempre fatto chiudere le serie anzitempo. Prima Wonderfalls, Dead Like Me, Pushing Daisies. Ma a quanto pare Hannibal è destinato a resistere di più.
Quando ho saputo che progettavano di fare un telefilm su Hannibal, ammetto di aver storto il naso. Abbiamo già saputo tutto quello che c'era da sapere di Hannibal Lecter in ben 4 film e nella famosa frase di Clarice "Hannibal the Cannibal". Poi ho scoperto che alla regia ci sarebbe stato Bryan Fuller. 
E la cosa si è fatta interessante.
Sapere che Bryan Fuller avrebbe messo le mani su un personaggio già esistente mi ha un po' destabilizzato. Sono sempre stata abituata a un Bryan Fuller che metteva sullo schermo uno dark humor intelligente, con trame originali, allucinanti e brillanti. Il mio entusiasmo si nota chiaramente dalla mia precedente recensione su Pushing Daisies, da questo punto di vista. Beh, conoscendo il regista ho deciso di dargli una seconda possibilità e di cominciare la visione del telefilm.

Come al solito, un telefilm di Bryan Fuller non è per tutti. Fuller fa chiaramente cose che si potrebbero definire di "nicchia", nonostante in questo caso sia coinvolto un nome importante come quello del personaggio di Hannibal Lecter. Le vicende che Fuller prende in considerazione sono quelle del pre-Red Dragon e a esso sono ispirate. Innanzi tutto, il telefilm è ambientato ai giorni nostri: quindi con i nostri metodi di indagine eccetera. Inoltre, qui il Dr. Lecter è in assoluta libertà e nessuno sospetta ancora che lui sia in realtà uno psicopatico, assassino e cannibale, anche perché è sempre riuscito a incolpare gli altri dei suoi delitti. Il problema si presenta quando nell'FBI viene convocato Will Graham, un uomo dotato di una così spiccata empatia da permettergli di entrare nella mente dell'assassino e di scoprirne la trama (infatti in questo frangente pronuncia sempre le parole Questo è il mio disegno). Tuttavia, per la sua fragilità psicologia, gli viene affiancato uno psichiatra. Più specificatamente, Hannibal Lecter.
Perché non è per tutti?, vi starete chiedendo. Il fatto è che le scene degli omicidi sono forti. Davvero forti. Inoltre, il telefilm è tutto un viaggiare nella mente di Will, con le allucinazioni. In realtà è un continuo giocare con le menti, sia dei personaggi e con la mente degli spettatori. Le atmosfere, la simmetria degli scenari quasi reali, i colori spenti e le scene del crimine, le allucinazioni e i discorsi degli psichiatri, le cene di Hannibal, tutto è atto a mettere a disagio, a far sentire a disagio lo spettatore quanto è a disagio Will Graham stesso.

Trama orizzontale e trama verticale.
La trama verticale, ossia la trama insita in ogni episodio, è più o meno la stessa: Accade un omicidio, Will viene chiamato sulla scena del crimine. Si ha la allucinazione di Will che ci mostra come è avvenuto l'omicidio e che informazione lui riesce a ricavare dell'assassino. Seduta con Hannibal Lecter. Le indagini proseguono (ho davvero apprezzato il fatto che non stiano lì delle ore a spiegare come siano arrivati a un punto, che non mostrino ore ore degli scienziati al microscopio perché non è questo il senso del telefilm, non siamo a CSI). Si arriva a capire chi è l'assassino. Hannibal che cucina. Eccetera.
No, non aspettatevi un solito poliziesco.
Non ci si concentra sulle indagini di per sé, ci si concentra molto sul sottile rapporto di Will con il mondo esterno. Con Hannibal. Con Alana Bloom. Con Jack. Con Abigail. Con i propri incubi e le proprie allucinazioni. Un sottile rapporto minato da un sempre più crescente disagio psicologico, che lo porta a fondere la realtà con i propri incubi (anche derivati dal lavoro che svolge). Ecco, la trama orizzontale è proprio questa. Insieme al fatto che a ogni omicidio che si ritrovano a indagare, si scopre che esiste un imitatore, ma soprattutto l'omicidio che più di ogni altro ricorre con insistenza è quello delle vittime di Garrett Jacob Hobbes, ucciso a sua volta da Will. Gli incubi evolvono più evolve quella che sembra essere una malattia mentale di Will, che lo porta a distaccarsi sempre più dalla realtà ma allo stesso tempo lo aiuta ad aprire gli occhi su quale sia la verità.
Qual è la verità? Beh, scoprite il telefilm.


"My name is Will Graham. I feel like I'm fading".


La serie si chiama Hannibal. Per quanto il protagonista sia Will, a dominare la scena è Hannibal. Un personaggio di questo calibro non poteva non  rubare in un certo senso la scena e infatti ho apprezzato che il telefilm venisse collocato in un momento precedente alla scoperta della sua "psicopatia": così domina, ma allo stesso tempo se ne sta in secondo piano, viscido e inquietante, impassibile e freddo, falso e attore. L'attore che lo interpreta, Mads Mikkelsen, riesce secondo me a rendere Hannibal molto più sfaccettato e intelligente di quanto non lo rendessero i film. Stiamo parlando di un uomo che ha nascosto il suo essere psicopatico per anni, ha frequentato la facoltà di medicina e poi è diventato psichiatra senza che nessuno sospettasse niente: infatti Hannibal è uno psicopatico intelligente , è consapevole di quel che fa e di come nasconderlo al meglio. 


Ad affiancarlo, come protagonista, è Will Graham. Uomo dotato dalle grandi abilità empatiche, ma per questo dalla psiche molto fragile: accetta di lavorare come profiler per Jack Crawford, ma a patto che venga seguito da uno psichiatra (il Dr. Lecter). Tuttavia, il lavoro lo porta molto a contatto con le menti degli assassini e per lui hanno inizio gli incubi notturni e le allucinazioni, mentre la realtà sembra scivolargli dalle dita e farsi sempre più confusa. 

In definitiva, Bryan Fuller è più grandioso che mai. Con questo telefilm, è riuscito a dare il massimo senza perdere il proprio spirito (basti pensare al dark humor che trasuda dalle cene di Hannibal, unico "intermezzo" del telefilm che è inquietante quanto le scene del crimine). Io lo consiglio, ma chiedetevi se avete abbastanza stomaco e se non siete facilmente impressionabili dai temi trattati, come gli omicidi efferati, il cannibalismo e il disagio psicologico, perché in caso contrario evitate questo telefilm. 

L'oceano in fondo al sentiero, Neil Gaiman - Impressioni



"Era solo uno stagno, ai margini della fattoria. Neanche tanto grande. Lettie Hempstock diceva che era un oceano, ma io lo sapevo che non poteva essere. Diceva che attraversando l'oceano erano arrivati qui dalla loro vecchia terra."

 Ammetto che quando ho saputo dell'uscita del nuovo libro di Gaiman, mi sentivo preoccupata ed eccitata dall'idea nello stesso momento. Sapete, quando uno degli scrittori che più ammiri esce con una nuova storia, è inevitabile che tu ti metta a chiederti se ti piacerà, se sarà una bella storia, se invece ha scritto un libro tanto per fare privo di sentimenti. Ti chiedi se quel nuovo libro cambierà l'opinione che hai su quello scrittore. Tanta è l'aspettativa e tanta é anche la preoccupazione che ne deriva.
Posso tranquilizzarvi e dirvi fin da subito che Gaiman non ha deluso nessuna delle mie aspettative, come mi aspettavo che fosse. Non esistono molte persone nate con una grande capacità di cantastorie, e Gaiman è fra questi pochi fortunati.

"The Ocean at the End of the Lane", non è un libro immediato, come del resto tutta la produzione di Gaiman. Nemmeno la più banale delle sue storie è, alla fin fine, banale. Questa storia di banale non ha niente. Senza dubbio, riprende uno dei temi che sono più cari a Gaiman, ossia l'infanzia (vi ricordo Il Figlio del Cimitero e Coraline). Ma non una infanzia qualsiasi: l'infanzia che noi abbiamo abbandonato crescendo, popolata da mostri e creature sovrannaturali o addirittura più vecchie dell'universo stesso. Ecco, una infanzia cara a Gaiman è una infanzia dove realtà e fantasia si confondono. Fra l'altro il protagonista è un bambino che è anche un lettore accanito, quindi la fantasia prorrompe in modo più prepotente nella sua vita: il fatto poi che è ambientato nel Sussex, dove lui è vissuto proprio da bambino, dimostra questo libro sia autobiografico.
Se c'è qualcosa che rende Gaiman un grande autore, a mio parere sottovalutato, è la sua capacità di rendere poesia ogni storia.

Non voglio entrare troppo nei particolari della storia per non rovinare la lettura a chi vorrà cimentarsi con questo ultimo "piccolo" capolavoro di Gaiman, per cui vi parlerò della trama come è anche riportata nella quarta di copertina.

Un uomo di mezza età torna nei luoghi della sua infanzia per un funerale. Invece di raggiungere sua sorella, viene attratto quasi sovrappensiero dalla fattoria in fondo alla strada dove una volta c'era casa sua. Salutata la padrona di casa, l'uomo si siede di fronte allo stagno dietro la fattoria. Uno stagno che una sua amica di infanzia, Lettie Hempstock, diceva in realtà fosse l'oceano.
E così, l'uomo riporta alla mente ricordi dell'infanzia ormai rimossi da tempo, di una infanzia popolata da forze antiche e oscure, malvagie e buone, da creature più vecchie dell'universo stesso. 


Che cosa sia vero e cosa non lo sia nel libro, ha davvero importanza? Le due realtà sono inscindibili e, come dice uno dei personaggi, ognuno vede la realtà con occhi propri. Noi la vediamo con gli occhi di un bambino che ha una immaginazione molto vivida, che poi è Gaiman stesso. Non ho potuto non ricordare che anche la mia infanzia era popolata da avventure nel giardino di casa mia, avventure che poi sono diventate storie che ancora oggi non ho smesso di scrivere. É commovente pensare a quanto, per autobiografico sia questo libro, è impossibile non riconoscersi.

Voglio attendere per fare un'analisi più approfondita, perchè è mia intenzione rileggerlo, ragion per cui ora posso solo dire: leggetelo. É meravigliosamente poetico, idilliaco e terrificante allo stesso momento. Aneil Gaimanh, e adorerete Mrs Hempstock Vecchia come nessun altro.


 "Nella mia cameretta nessuno si lamentava se lasciavo la porta mezza aperta in modo che dal corridoio filtrasse la luce sufficiente a non farmi avere paura del buio e, a vantaggio altrettanto importante, in modo che potessi leggere di nascosto dopo l'ora della nanna, nel caso ne avessi avuto bisogno. E di leggere ne avevo bisogno sempre."