Racconto del mese
Inaugurio questa nuova rubrica con un breve esperimento ispirato a Jorge Luis Borges.
Labyrìnthos
Questo carcere di pietra è la mia
esistenza.
Non esiste nulla al di fuori di
esso.
Io sono l’unico essere vivente e
di questo luogo io sono il guardiano. Sono io a decidere quel che è destinato
ad accadervi. Io sono l’unico: la mia
parola è legge; le mie azioni, giustizia.
Sebbene in passato mi fu
insegnato a chiamarlo carcere, questo luogo non è tale per me. È la mia casa ed
è grande come il mondo. Mi appartiene più di quanto io non appartenga ad essa e
se mio è il compito di proteggerla, suo è il compito di proteggere me.
Conosco ogni singola parte di
questa mia casa. Ogni sezione si ripete all’infinito, la casa stessa si ripete
all’infinito, come una specie di sortilegio perverso. Tuttavia, il luogo dove
si colloca l’uscita non è più un segreto già da tanto tempo: potrei andarmene,
se lo volessi. Ma non rientra nei miei desideri.
Io sono l’unico. Se anche
desiderassi andarmene, dove dovrei recarmi? Dovrei rischiare forse di cadere
nel vuoto, di perdermi nella non-esistenza? Non esiste nulla al di fuori di
questa casa. Non esiste nulla al di fuori di me.
La quiete e la solitudine della
mia casa non mi pesano: il pensiero di altri è solo una sfumatura dei ricordi o
la memoria di un sogno. Io sono l’unico rimasto. Io sono l’unico.
Nulla turba la quiete della mia
esistenza. Il silenzio è il mio unico compagno.
Solo un incubo ricorrente sembra
tormentarmi. Chiudo gli occhi, seduto sul mio trono di pietra nel cuore della
mia casa, e attendo. Attendo quei rumori frutto delle allucinazioni, quelle grida
che non appartengono ad alcun essere che io conosca. E come ogni anno, quei
suoni figli dell’incubo tornano a tormentare la mia esistenza.
Mi allontano dal mio trono di
pietra. Queste allucinazioni non finiranno da sole, sono io che devo porre loro fine.
Il labirinto è la mia casa. So
esattamente dove queste allucinazioni si trovano. Le raggiungo. Creature
dell’orrore, fuori da ogni mia immaginazione, che parlano un idioma a me
sconosciuto. Figure minute, spelacchiate, urlanti e tremanti, che cercano di
attaccarmi, di farmi del male. Creature che nascono dal buio, dalla parte più oscura della mia mente.
Creature che non esistono. Come possono esistere, se io sono l'unico?
Vogliono insinuare il dubbio in me, far crollare il mondo di cui sono il sovrano.
No, non ci riusciranno. Io sono l'unico e questi incubi non prevarranno su di me.
Muoiono con facilità, schiacciate
sotto il peso dei miei zoccoli. L’orrido liquido rosso imbratta il pavimento
della mia casa, ma so che non è altro che un sogno e che presto ne svanirà ogni
traccia. Anche quei corpi cesseranno di esistere.
Perché io sono l’unico.
Non esiste nessuno al di fuori di
me.