LA MELA
Armageddon: Parte prima
“Se il mondo deve finire, facciamolo finire come è
iniziato.”
1
UTÒPIA, Distretto
09-19
L’androide muta la propria forma e
i nano-robot rendono le sue mani in uno
spara-sedativi.
In quel momento capisco che mi
vogliono prendere viva e il primo pensiero coerente che attraversa la mia testa
è uno e uno solo: merda.
Inutile attivare l’effetto
trasparenza della tuta che indosso – non puoi fregare gli androidi di sesta
generazione con trucchetti da mago. Merda,
mi ripeto, sperando che sia la parola d’ordine a un’idea geniale per salvarmi
il culo. È il momento in cui rimpiango di essere sempre stata considerata il braccio e non la mente in questo
piano disperato.
Nella parte inferiore della lente a
contatto destra vedo comparire un messaggio di Adam. Muovi il culo da quel punto e vienimi incontro. Altri androidi da
sinistra. Torniamo al laboratorio.
Tamburello in modo impercettibile
le dita dell’unica mano libera che mi rimane e sulla lente compare la mia
risposta. Se mi muovo mi fa fuori e si
riprende la merce.
Il volto dell’androide che mi dà la
caccia ribolle in modo impaziente e inquietante. Mi metto a pregare una
divinità a caso che sia andato incontro a un errore di sistema, e non è così
improbabile: quegli idioti del Governo vogliono i nuovi giocattoli senza che
siano stati sufficientemente messi a punto.
Sullo schermo lenticolare compare
una scritta lampeggiante. MUOVITI ORA.
Mi servono poche frazioni di
secondo per capire che è la mia unica occasione e che Adam ha ragione. Per
sicurezza attivo il filtro trasparenza e mi butto di fronte all’androide senza
avere il tempo nemmeno per un gesto scaramantico. Con la coda dell’occhio vedo
che ora la massa ribollente è ancora così instabile da aver coperto quei
dannati sensori che sono al posto degli occhi. Con tutta probabilità non mi ha
captato.
Merdamerdamerdamerda.
La litania di parolacce finisce non
appena vedo l’androide scomparire dietro una parete di metallo. Proseguo
qualche altro metro fino a raggiungere delle casse poco distante e mi
accovaccio dietro di loro.
«Ce l’hai? L’hai presa?»
Volto lo sguardo solo per
incontrare la sagoma di Adam, anche lui in trasparenza e captato dalle mie
lenti. Non riesco a leggergli il volto, ma il tono della sua voce non lascia
spazio a dubbi: è isterico, spaventato ed eccitato.
Disattivo la mia trasparenza e lui
fa lo stesso. Mi infilo una mano fra i seni fino a raggiungere la tasca interna
della tuta, quindi lo estraggo e lo mostro ad Adam. È grande come un’unghia, un
minuscolo pezzo di silicio. Un circuito vitale.
La
Mela.
Ora posso vedere il volto di Adam
illuminarsi, anche se gli schermi lenticolari soffocano il bagliore nei suoi
occhi.
«Finché non lo portiamo fuori di
qui, non ha senso cantare vittoria», lo avviso prima che possa aprire bocca.
«Finché non lo diamo a E.V.A[1].,
non abbiamo cambiato proprio un bel niente.»
Per un attimo colgo sul volto di
Adam un’espressione contrariata e delusa. Poi annuisce. «Ma è un passo in
avanti», mi corregge. Vuole festeggiare la nostra piccola vittoria e questa
affermazione gliela posso anche concedere. Faccio un cenno con il capo, mentre
rimetto il circuito nella tasca interna della tuta.
«Ora basta perdere tempo», lo
rimprovero in modo brusco. Ho ancora i nervi a fior di pelle, all’idea che un
androide di sesta generazione sia distante poco più di cento metri da me.
«Quella fottuta sentinella potrebbe ancora essere inceppata, ma non passerà
molto tempo perché ne arrivino altri. Dobbiamo muovere il culo da qui, hai
capito?»
Adam annuisce ancora più convinto.
Le sue mani guantate si stringono attorno all’impugnatura della sua pistola. Io
faccio lo stesso e, nonostante la tuta sia un isolante termico, riesco a
percepirne il freddo della mia arma. No, non può essere, mi dico. È solo
suggestione. Come è suggestione che la Mela sia calda, anche se non è a diretto
contatto con la mia pelle. Quel circuito non ha vita. Quel circuito è freddo,
morto, mai stato vivo. È solo un fottuto circuito.
Dal corridoio da dove sono sbucata,
dei click clack inquietanti
preannunciano quello che avevo temuto: il sistema dell’androide deve aver posto
rimedio al bug. La sentinella è tornata operativa.
Merda, ripeto per l’ennesima volta, ma cerco di
trattenerlo nella mia mente. Cerco anche di controllare anche il rumore
assordante del mio respiro e del battito del mio cuore. La tuta dovrebbe
schermarmi dalla rilevazione termica dell’androide, ma non posso esserne
sicura: in fin dei conti, benché abbia studiato le cianografie della
progettazione degli androidi di quest’ultima generazione, nessuno mi assicura
che non siano state apportate delle modifiche in fase di costruzione.
Fanculo.
Il solo tempo di avere quest’unico
pensiero e la mano dell’androide buca la parete di metallo di fronte a me. Un
proiettile sedativo per un soffio non mi prende in pieno petto, ma mi sfiora la
spalla e si perde fra gli scatoloni alle mie spalle.
Nel primo attimo di smarrimento,
sono convinta di essere fortunata. Il momento successivo ricordo che il mio
avversario è un androide e gli androidi non sbagliano la mira, non in maniera
così lampante. Alla fine, in questa consapevolezza, intravedo la mia via d’uscita.
Le mie dita battono leggere sulla
mia gamba e sullo schermo lenticolare condiviso compare la seguente scritta: Il suo sistema è fottuto.
Adam rivolge il suo sguardo verso
di me e sorride. Probabilmente ha già capito come sfruttare questa informazione
a nostro vantaggio, ma non so se sia una certezza o se sia qualcosa che spero,
in quanto l’androide si sta già aprendo la strada attraverso il pannello di
metallo e si prepara a sparare un’altra volta il sedativo. Più si avvicina, più
so che le probabilità che sbagli ancora mira si riducono drasticamente.
«Adam», dico e la mia voce è poco
più di un sibilo rabbioso che soffia fra i denti serrati. Non c’è tempo di
battere le dita. «Se hai qualcosa in mente, falla adesso!»
Solo nell’istante successivo mi
rendo conto che sto gridando al vuoto. Adam con un balzo ha già superato gli
scatoloni e ha già puntato la pistola al plasma agli occhi dell’androide. Due
colpi secchi e la vista della sentinella va in frantumi.
«Presto, prima che riattivi gli
infrarossi!», mi dice senza distogliere lo sguardo dal robot.
Ho pochi secondi per capire che
cosa sta accadendo. Supero gli scatoloni per seguire l’esempio di Adam e mi
fiondo addosso all’androide. Il colpo della mia pistola a scarica
elettromagnetica, deciso, gli arriva alla base del cranio e frigge i circuiti
primari. L’androide collassa a terra come se non avesse mai avuto uno
scheletro, mentre i pannelli camaleontici, fottuti dalla mia scarica, fanno
ribollire i suoi arti in forme che non hanno senso.
In quel momento sento di poter
cantare vittoria. «Non ci posso credere, abbiamo fatto fuori un androide di
sesta!», esclamo, non senza un tono di voce infantile. Sorrido e rivolgo ad
Adam un tacito invito a levare le tende. Ma basta solo quell’attimo di
distrazione, solo quello. Il sollievo di aver messo a fuori uso un androide di
sesta generazione non mi fa percepire il segnale di pericolo che compare in
alto a sinistra sullo schermo lenticolare, nell’area riservata a me e me
soltanto. Solo un attimo, e un dolore lancinante mi attraversa il retro del
collo come una scossa elettrica. La sensazione si estende lungo tutta la spina
dorsale e mi paralizza. Con la coda dell’occhio riesco a vedere un androide con
la mano spara dardi puntata ancora nella mia direzione.
Un altro fottuto androide,
schermato fino all’ultimo, fino a quando non mi ha colto di spalle.
Ci hanno fregato.
Ci hanno fregato buttandoci addosso
prima il modello difettoso e poi quello perfettamente funzionante.
«Lilith!», sento Adam gridare. Al diavolo la comunicazione
attraverso lo schermo lenticolare, probabilmente l’androide di sesta
generazione legge le nostre onde celebrali.
Tutto diventa ovattato.
Veleno
o sonnifero?
Mentre cado a terra realizzo che lo
saprò solo se e quando mi risveglierò. Non è più in mio controllo ormai.
«Cazzo, Lilith! No!»
Le grida di Adam si fanno sempre
più confuse. E in fretta.
Quella merda entra in circolo molto
velocemente.
Vorrei gridargli di mettere la Mela
in salvo. Ma il mio partner in questa missione non è stupido.
Sa
cosa fare.
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