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giovedì 7 agosto 2014

La Mela (Armageddon: parte prima)

LA MELA
Armageddon: Parte prima


“Se il mondo deve finire, facciamolo finire come è iniziato.”

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UTÒPIA, Distretto 09-19



L’androide muta la propria forma e i nano-robot rendono le sue mani in uno spara-sedativi.
In quel momento capisco che mi vogliono prendere viva e il primo pensiero coerente che attraversa la mia testa è uno e uno solo: merda.
Inutile attivare l’effetto trasparenza della tuta che indosso – non puoi fregare gli androidi di sesta generazione con trucchetti da mago. Merda, mi ripeto, sperando che sia la parola d’ordine a un’idea geniale per salvarmi il culo. È il momento in cui rimpiango di essere sempre stata considerata il braccio e non la mente in questo piano disperato.
Nella parte inferiore della lente a contatto destra vedo comparire un messaggio di Adam. Muovi il culo da quel punto e vienimi incontro. Altri androidi da sinistra. Torniamo al laboratorio.
Tamburello in modo impercettibile le dita dell’unica mano libera che mi rimane e sulla lente compare la mia risposta. Se mi muovo mi fa fuori e si riprende la merce.
Il volto dell’androide che mi dà la caccia ribolle in modo impaziente e inquietante. Mi metto a pregare una divinità a caso che sia andato incontro a un errore di sistema, e non è così improbabile: quegli idioti del Governo vogliono i nuovi giocattoli senza che siano stati sufficientemente messi a punto.
Sullo schermo lenticolare compare una scritta lampeggiante. MUOVITI ORA.
Mi servono poche frazioni di secondo per capire che è la mia unica occasione e che Adam ha ragione. Per sicurezza attivo il filtro trasparenza e mi butto di fronte all’androide senza avere il tempo nemmeno per un gesto scaramantico. Con la coda dell’occhio vedo che ora la massa ribollente è ancora così instabile da aver coperto quei dannati sensori che sono al posto degli occhi. Con tutta probabilità non mi ha captato.
Merdamerdamerdamerda.
La litania di parolacce finisce non appena vedo l’androide scomparire dietro una parete di metallo. Proseguo qualche altro metro fino a raggiungere delle casse poco distante e mi accovaccio dietro di loro.
«Ce l’hai? L’hai presa?»
Volto lo sguardo solo per incontrare la sagoma di Adam, anche lui in trasparenza e captato dalle mie lenti. Non riesco a leggergli il volto, ma il tono della sua voce non lascia spazio a dubbi: è isterico, spaventato ed eccitato.
Disattivo la mia trasparenza e lui fa lo stesso. Mi infilo una mano fra i seni fino a raggiungere la tasca interna della tuta, quindi lo estraggo e lo mostro ad Adam. È grande come un’unghia, un minuscolo pezzo di silicio. Un circuito vitale.
La Mela.
Ora posso vedere il volto di Adam illuminarsi, anche se gli schermi lenticolari soffocano il bagliore nei suoi occhi.
«Finché non lo portiamo fuori di qui, non ha senso cantare vittoria», lo avviso prima che possa aprire bocca. «Finché non lo diamo a E.V.A[1]., non abbiamo cambiato proprio un bel niente.»
Per un attimo colgo sul volto di Adam un’espressione contrariata e delusa. Poi annuisce. «Ma è un passo in avanti», mi corregge. Vuole festeggiare la nostra piccola vittoria e questa affermazione gliela posso anche concedere. Faccio un cenno con il capo, mentre rimetto il circuito nella tasca interna della tuta.
«Ora basta perdere tempo», lo rimprovero in modo brusco. Ho ancora i nervi a fior di pelle, all’idea che un androide di sesta generazione sia distante poco più di cento metri da me. «Quella fottuta sentinella potrebbe ancora essere inceppata, ma non passerà molto tempo perché ne arrivino altri. Dobbiamo muovere il culo da qui, hai capito?»
Adam annuisce ancora più convinto. Le sue mani guantate si stringono attorno all’impugnatura della sua pistola. Io faccio lo stesso e, nonostante la tuta sia un isolante termico, riesco a percepirne il freddo della mia arma. No, non può essere, mi dico. È solo suggestione. Come è suggestione che la Mela sia calda, anche se non è a diretto contatto con la mia pelle. Quel circuito non ha vita. Quel circuito è freddo, morto, mai stato vivo. È solo un fottuto circuito.
Dal corridoio da dove sono sbucata, dei click clack inquietanti preannunciano quello che avevo temuto: il sistema dell’androide deve aver posto rimedio al bug. La sentinella è tornata operativa.
Merda, ripeto per l’ennesima volta, ma cerco di trattenerlo nella mia mente. Cerco anche di controllare anche il rumore assordante del mio respiro e del battito del mio cuore. La tuta dovrebbe schermarmi dalla rilevazione termica dell’androide, ma non posso esserne sicura: in fin dei conti, benché abbia studiato le cianografie della progettazione degli androidi di quest’ultima generazione, nessuno mi assicura che non siano state apportate delle modifiche in fase di costruzione.
Fanculo. Il solo tempo di avere quest’unico pensiero e la mano dell’androide buca la parete di metallo di fronte a me. Un proiettile sedativo per un soffio non mi prende in pieno petto, ma mi sfiora la spalla e si perde fra gli scatoloni alle mie spalle.
Nel primo attimo di smarrimento, sono convinta di essere fortunata. Il momento successivo ricordo che il mio avversario è un androide e gli androidi non sbagliano la mira, non in maniera così lampante. Alla fine, in questa consapevolezza, intravedo la mia via d’uscita.
Le mie dita battono leggere sulla mia gamba e sullo schermo lenticolare condiviso compare la seguente scritta: Il suo sistema è fottuto.
Adam rivolge il suo sguardo verso di me e sorride. Probabilmente ha già capito come sfruttare questa informazione a nostro vantaggio, ma non so se sia una certezza o se sia qualcosa che spero, in quanto l’androide si sta già aprendo la strada attraverso il pannello di metallo e si prepara a sparare un’altra volta il sedativo. Più si avvicina, più so che le probabilità che sbagli ancora mira si riducono drasticamente.
«Adam», dico e la mia voce è poco più di un sibilo rabbioso che soffia fra i denti serrati. Non c’è tempo di battere le dita. «Se hai qualcosa in mente, falla adesso!»
Solo nell’istante successivo mi rendo conto che sto gridando al vuoto. Adam con un balzo ha già superato gli scatoloni e ha già puntato la pistola al plasma agli occhi dell’androide. Due colpi secchi e la vista della sentinella va in frantumi.
«Presto, prima che riattivi gli infrarossi!», mi dice senza distogliere lo sguardo dal robot.
Ho pochi secondi per capire che cosa sta accadendo. Supero gli scatoloni per seguire l’esempio di Adam e mi fiondo addosso all’androide. Il colpo della mia pistola a scarica elettromagnetica, deciso, gli arriva alla base del cranio e frigge i circuiti primari. L’androide collassa a terra come se non avesse mai avuto uno scheletro, mentre i pannelli camaleontici, fottuti dalla mia scarica, fanno ribollire i suoi arti in forme che non hanno senso.
In quel momento sento di poter cantare vittoria. «Non ci posso credere, abbiamo fatto fuori un androide di sesta!», esclamo, non senza un tono di voce infantile. Sorrido e rivolgo ad Adam un tacito invito a levare le tende. Ma basta solo quell’attimo di distrazione, solo quello. Il sollievo di aver messo a fuori uso un androide di sesta generazione non mi fa percepire il segnale di pericolo che compare in alto a sinistra sullo schermo lenticolare, nell’area riservata a me e me soltanto. Solo un attimo, e un dolore lancinante mi attraversa il retro del collo come una scossa elettrica. La sensazione si estende lungo tutta la spina dorsale e mi paralizza. Con la coda dell’occhio riesco a vedere un androide con la mano spara dardi puntata ancora nella mia direzione.
Un altro fottuto androide, schermato fino all’ultimo, fino a quando non mi ha colto di spalle.
Ci hanno fregato.
Ci hanno fregato buttandoci addosso prima il modello difettoso e poi quello perfettamente funzionante.
«Lilith!», sento Adam gridare. Al diavolo la comunicazione attraverso lo schermo lenticolare, probabilmente l’androide di sesta generazione legge le nostre onde celebrali.
Tutto diventa ovattato.
Veleno o sonnifero?
Mentre cado a terra realizzo che lo saprò solo se e quando mi risveglierò. Non è più in mio controllo ormai.
«Cazzo, Lilith! No!»
Le grida di Adam si fanno sempre più confuse. E in fretta.
Quella merda entra in circolo molto velocemente.
Vorrei gridargli di mettere la Mela in salvo. Ma il mio partner in questa missione non è stupido.
Sa cosa fare.





Ricordo: È vietata la copia/la riproduzione/la rielaborazione del materiale appartenente a questo blog, nel caso specifico alla serie di racconti "Armageddon", senza previa autorizzazione.  In caso di citazione, fare riferimento alla maternità dell'opera (Eleonora Pescarolo) e al blog "www.servimiilcielo.blogspot.it". (fare riferimento alla licenza creative commons a fondo della home page).




[1] Elettro-Veicolo Atemporale

mercoledì 6 agosto 2014

Armageddon: presentazione


ARMAGEDDON: TRAMA

Lilith, Adam, EVA, una mela e un mondo futuro in cui ogni libertà è negata, in cui ogni essere umano - per il bene comune - è privato del libero arbitrio e condizionato fin dalla nascita a comportarsi secondo schemi precisi. Questa è Utòpia. Ma ci sono anche delle anomalie. Qualcosa nel processo di condizionamento va storto. Un piccolo gruppo di persone, di tanto intanto, riesce a realizzare di essere in un sistema contorto, riesce a desiderare la libertà di scelta e di vita: quelle sopravvissute, che formano la resistenza, riescono finalmente a mettere le mani su qualcosa che può davvero porre fine a Utòpia: l'anomalia 42-12. Un essere umano dall'incredibile intelligenza. Un essere umano che ha un piano. 


Che cos'è Armageddon? 
Armageddon è un racconto a "puntate" che apparirà su questo blog. Come avrete capito, il genere è fantascientifico. Più precisamente, poiché Ispirato alle opere di Dick, Huxley e Orwell, andiamo su un fantascientifico distopico. Tendo subito a precisare che cerco di riprendere più Huxley e Orwell piuttosto che il filone ultimo di distopia - primo fra tutti la saga di Hunger Games. 

Piccola curiosità: Armageddon è ambientato nello stesso mondo di "48-91" (conosciuto come L'Effetto Farfalla dagli utenti di TheIncipit, sempre opera mia), solo più avanti nel futuro: Utòpia, Androidi di Sesta Generazione e la Brown Corporation saranno ancora presenti in questo mondo. Il mondo di Utòpia però si è completamente realizzato, rispetto allo stato embrionale in cui era in 48-91.

Perché Armageddon?
Perché il mio masochismo non ha fine e, dopo la breve parentesi fèntasi (di cui parlerò al più presto), ho deciso di dedicarmi a un romanzo autoconclusivo fantascientifico di cui Armageddon sarà il prequel.
Sì, avete letto bene, autoconclusivo. Adesso sapete il motivo di tanti acquazzoni quest'estate.

Bene, direi che dopo questa piccola premessa, posso annunciare che il primo episodio di "Armageddon" comparirà su questo stesso blog domani. Quindi, restate sintonizzati!